IL GIUDICE PAOLO BORSELLINO… IL CORAGGIO DI CONTINUARE “QUELLA GUERRA” CONSAPEVOLE DELL’ESTREMO SACRIFICIO.
Oggi ricorre
l’anniversario dell’attentato mafioso al giudice Paolo Borsellino a Palermo il
19 luglio 1992 in via D’Amelio, a 57 giorni di distanza dall’altro attentato
mafioso in cui perse la vita l’amico Giovanni Falcone.
Il giudice Borsellino
continuò sulla strada che aveva tracciato insieme al suo amico che già aveva
portato a grandi risultati assestando pesanti colpi a Cosa Nostra fin dai tempi
del maxi processo alla mafia.
L’amore smisurato per la
sua Sicilia e il desiderio di giustizia, libertà e di senso dello Stato, lo
portarono quasi a completare il quadro che vedeva nei loschi affari della mafia
diretti collegamenti con la politica, le istituzioni dello Stato,
l’imprenditoria e l’industria in tutta Italia; tutto questo frutto di anni di
lavoro e di indagini purtroppo accompagnate da una lunghissima scia di morte.
Non si fermò il giudice
Borsellino! Continuò da solo contro tutti! Abbandonato anche da quello “Stato”
a cui dedicò una vita intera e che esortava i giovani siciliani ad amare! Pur
sapendo che c’era un auto carica di tritolo in giro per Palermo che attendeva
il momento giusto per colpire.
La mafia scelse giorno,
ora e luogo con criminale lucidità…
Una strage nel cuore di
Palermo destinata a colpire il magistrato siciliano e la sua scorta: con lui
muoiono anche cinque poliziotti. Emanuela Loi (prima donna della Polizia di
Stato caduta in servizio, il cui corpo è stato trovato nel giardino di un
appartamento al piano terreno dell'edificio), Agostino Catalano, Vincenzo
Limuli, Walter Cosina e Claudio Trainama.
Borsellino, proprio come
Falcone, conosceva da palermitano ogni sfumatura degli uomini che facevano
parte di Cosa Nostra. Ne comprendeva la logica, il codice, le motivazioni,
perfino gli sguardi, senza aver bisogno di nessuno che li interpretasse. Un
patrimonio che lo rendeva di fatto, insostituibile. E proprio per questo, dopo
la morte di Falcone, era il candidato ideale a procuratore capo della nascente
procura nazionale antimafia, e quindi a diventare il nemico numero uno di Cosa
Nostra.
Dopo aver pranzato a
Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino
si reca insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove vivono la madre e la
sorella. Antonio Villo, l'unico sopravvissuto della scorta, ma gravemente
ferito, racconta quello che successe in quel pomeriggio del 19 luglio 1992.
Una Fiat 126 parcheggiata
nei pressi dell'abitazione della madre con circa 100 kg di tritolo a bordo,
esplode al passaggio del giudice, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche i
cinque agenti. L'attentato è stato compiuto alle 17.00 in punto davanti al
civico 19. La deflagrazione, di una violenza inaudita, è stata avvertita in
gran parte della città. Quando, sull'eco del boato, hanno cominciato a
convergere mezzi delle forze dell'ordine, dei vigili del fuoco e autoambulanze,
quanti sono arrivati per primi sul posto non hanno creduto ai propri occhi.
L'edificio in cui era diretto il magistrato è sventrato alla base e i segni di
lesioni consistenti e infissi divelti fino al quinto piano. Una ventina di
automobili che bruciavano, cadaveri e resti umani sull'asfalto.
Ufficialmente nessuno era
a conoscenza degli spostamenti di Borsellino, che solo all'ultimo minuto,
comunicava ai poliziotti addetti alla vigilanza itinerario e destinazione. La
mafia comunque sapeva che Paolo Borsellino, e lo aveva dimostrato in molte
occasioni circolando solo per le vie di Palermo, non rinunciava ad un minimo di
vita "normale". E sapeva che tra le tappe "obbligate" c'era
la vista all'anziana madre.
Sonnino in Azione ha
deposto un omaggio floreale alla targa in memoria per i giudici Falcone e
Borsellino.
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-SONNINO IN AZIONE-